Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto e Andrea Buonopane
Appena messo piede in Lombardia è iniziata una “leggerissima” dieta a base di Pizzoccheri. Dal Trentino siamo entrati in Lombardia dalla Forcellina del Montozzo, in Val Camonica. Dopo aver passato la notte al Rifugio Bozzi siamo scesi in direzione di Ponte di Legno, lungo la comoda discesa, in compagnia della simpatica Emanuela (ex presidente del CAI di Ponte di Legno) abbiamo fatto una piccola deviazione per visitare il Caseificio Sant’Apollonia, caseificio didattico in cui si possono scoprire i segreti della produzione del Silter DOP. Purtroppo era l’ora di pranzo e il caseificio era chiuso.
La fame si faceva sentire, ma per fortuna poco prima del caseificio, sulle sponde del fiume, abbiamo visto un grande edificio con le persiane rosso brillante tra le quali spiccava la scritta: Ristoro Pietrarossa. Un piccolo paradiso, nella Valle delle Messi, all'inizio della lunga e tortuosa strada che conduce al passo Gavia. Il titolare Andrea Bulferetti (ex sindaco di Ponte di Legno incredibilmente somigliante al regista Tinto Brass), dopo averci sentiti raccontare del progetto di Va’ Sentiero, non ci ha pensato due volte e ci ha fatti accomodare per offrirci un boccone. Ma cosa far assaggiare a dei forestieri? Pizzoccheri, ovviamente!
Anche se non ancora in Valtellina, i pizzoccheri sono diventati uno dei piatti simbolo di tutta la regione. Un vero piatto di montagna,saporito e sostanzioso. Per chi non sapesse: i pizzoccheri sono delle tagliatelle di grano saraceno cotte con verza e patate e condite con burro e formaggio. Questa definizione è decisamente insufficiente, vediamo di conoscere meglio questo magnifico piatto.
Innanzi tutto, le forme dei pizzoccheri valtellinesi che possiamo trovare sono moltissime. Non si tratta di tagliatelle, ma di pezzetti di tagliatelle. Leggenda vuole che la parola pizzoccheri venga proprio da “petz”,che sta a indicare i pezzetti di pasta; da non confondere con i pizzoccheri della vicina Val Chiavenna, che sono invece una sorta di gnocchetti. La versione più famosa è sicuramente quella che possiamo trovare in tutti i supermercati: rettangoli allungati leggermente più spessi di una comune tagliatella.
Per trovare la forma originale siamo dovuti arrivare nella patria dei pizzoccheri, a Teglio. Si trova al centro della Valtellina e dalla torre di guardia risalente all'anno mille, costruita su un dosso a sud del paese, si domina l’intera valle. Pare anche che il nome Valtellina derivi proprio da Teglio: Vallis Tellina, Valle di Teglio. Qui, ci suggeriscono di diffidare della pasta confezionata, il vero pizzocchero è quello fresco. La sua forma è più allungata e più stretta di quello industriale, ma decisamente più spessa. Più che un pezzo di tagliatella assomiglia ad un pezzo di tonnarello.
A Teglio siamo stati accolti da tante fantastiche persone e una di loro, Francesco, giovane cuoco-allevatore-filosofo, ci ha aperto la porta della sua casa e del mondo dei pizzoccheri. È uno dei membri dell’Accademia del Pizzocchero di Teglio, ente che ha l’obiettivo di preservare la tradizione di questo piatto.
Siamo rimasti a bocca aperta nel vedere Francesco fare i pizzoccheri nella sua baita appena sopra il paese. L’impasto è composto da una piccola parte di farina di grano duro 00 e da circa l’80% di farina di grano saraceno. È una pasta che è meglio preparare subito prima della cottura; bisogna anche stare attenti a non“stressarla”: la farina di grano saraceno si ossida facilmente e, se lavorata troppo, rischia di indurirsi, mettendo a rischio la perfetta riuscita del pizzocchero.
Il grano saraceno è l’ingrediente fondamentale di questa ricetta di montagna. Il nome potrebbe trarre in inganno, infatti non si tratta di un grano, cioè di un cereale, ma di una pianta appartenente alla famiglia delle Poligonacee (la stessa del rabarbaro): il nome scientifico è Fagopyrum esculentum. Questa pianta ha una infiorescenza a grappolo di cui solo il 20/25% arriva a dare il seme (dalla forma triangolare); oggi è presente una varietà modificata che riesce ad arrivare fino al 60/70%, coltivata soprattutto nell'Est-Europa e l’importazione di questa varietà sta mettendo a rischio la specie autoctona, come ci spiega l ’Associazione per la coltura del Grano Saraceno di Teglio e dei Cereali Alpini tradizionali. Infatti, durante la visita al Mulino Menaglio di Teglio, che mantiene una piccola produzione di farine soprattutto a scopo didattico e divulgativo, ci hanno confermato che la coltivazione del grano saraceno, una volta diffusa in tutte le Alpi, è quasi completamente scomparsa. La pianta è arrivata in Europa verso la fine del 1500 attraverso i commerci con l’Oriente. Pare che sia una pianta originaria delle montagne a sud della Cina e proprio per questa sua provenienza “esotica” prende il nome di saraceno: un tempo tutti coloro che non erano cristiani erano chiamati “saraceni”.
Fin dai tempi più antichi l’uomo ha utilizzato i cereali, sotto forma di chicchi o di farina, per la propria alimentazione. Tuttavia, l'uso preponderante della polenta di sorgo o di granoturco come alimento base provocava la pellagra, che portava al cretinismo, malattia di cui ha sofferto a lungo la popolazione montana valtellinese. La grande adattabilità ai climi di montagna e le sue caratteristiche nutrizionali, diverse dai comuni cereali, ha fatto sì che soprattutto in Valtellina il grano saraceno (chiamato Formentun) diventasse l’ingrediente principale di molte ricette: i pizzoccheri, gli sciatte la polenta taragna.
Una volta, i pizzoccheri erano un piatto povero che veniva mangiato accompagnato da tante “erbe” selvatiche. La conoscenza e l’uso delle piante selvatiche era una parte importante dell’alimentazione valtellinese e ciò si può riscontrare nel detto per cui “il valtellino ruba l’erba alle sue mucche”. Oggi i pizzoccheri sono accompagnati dalle verdure stagionali. La ricetta del Pizzocchero di Teglio prevede come ingrediente la verza: viene tagliata a strisce e messa a bollire insieme ai pizzoccheri e alle patate, altro ingrediente che va a rafforzare il piatto. Un’altra verdura che si abbina molto bene è la bietola, mentre nel periodo estivo si possono usare i fagiolini.
Finora abbiamo parlato di ingredienti sostanziosi e tuttavia leggeri, ma, si sa, in montagna si ha bisogno di energie per superare i freddi inverni e così, dopo aver scolato pizzoccheri, patate e verze si mette il tutto in una pirofila e si aggiunge una quantità abbondante di Casera D.o.p, tipico formaggio valtelline sesemigrasso, perfetto per sciogliersi tra i pizzoccheri ancora fumanti. In aggiunta o in sostituzione si può usare un altro formaggio tipico della Valtellina:il Bitto, formaggio d’alpeggio a pasta semidura. Viene sempre aggiunto anche il formaggio grana grattugiato per insaporire ulteriormente il piatto. Per concludere, in una pentola a parte si fonde abbondante burro con salvia e aglio finché quest’ultimo non si imbrunisce (occhio a non bruciarlo!) e si cosparge il tutto sui pizzoccheri. Il burro profumato dona alla ricetta la sua anima gustosa.
I pizzoccheri Valtellinesi ci hanno accompagnato in tutta la Lombardia, dai Rifugi in cima alle montagne fino ai laghi. Una dieta ricca e sostanziosa che ci ha permesso di affrontare le dure montagne lombarde pieni di energie e con l’insaziabile voglia del prossimo piatto.