Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto
L’odore dell’erba che si alza con l’aria fresca, il suono dei campanacci delle vacche al pascolo, l’inconfondibile sapore del formaggio: è la montagna della Valle d’Aosta, protagonista incontrastata del paesaggio. Solcata dalla Dora Baltea, importante affluente del Po, e dai numerosi corsi d’acqua che vi confluiscono, la Valle d’Aosta ha una miriade di valli interne, ognuna con le proprie caratteristiche e a volte addirittura con un proprio microclima. Gli odori, i sapori e i suoni però sono comuni a tutte queste valli e l’elemento maggiormente unificante è il formaggio che, intrinsecamente legato alla storia della regione, in Valle d’Aosta è cultura.
Abbiamo verificato questo forte e antico legame in una bellissima giornata di fine agosto quando, scesi lungo il Vallone de Chavannes, un enorme canyon che arriva fino al confine francese, ci siamo imbattuti appena fuori dal borgo di La Thuile nello scavo archeologico di Orgères che ha portato alla luce una stalla per ovini, caprini e bovini. I risultati delle ricerche hanno rivelato che già nel XIV secolo qui venivano prodotti formaggi (data l’importanza della scoperta, la Centrale Laitière de la Vallée d'Aoste ha deciso di finanziare gli scavi dedicando loro una selezione di Bleu d’Aoste, un formaggio erborinato, vero e proprio gioiello della caseificazione del vallone di La Thuille).
Fin dal nostro ingresso a Gressoney-Saint Jean abbiamo conosciuto le specialità casearie, in primis la Toma di Gressoney. La piccola produzione fatta con latte d’alpeggio dà vita a un prodotto di nicchia ricercato, tanto che Slow Food lo ha inserito tra quelli meritevoli di salvaguardia. I primi a produrlo sono stati i Walser: provenienti dal sud dell’attuale Germania, si stanziarono ai piedi del Monte Rosa, nelle valli ancora oggi popolate dai loro discendenti. La Toma, dalla crosta liscia che va dal grigiastro al marrone, è composta da un mix di latte crudo dai diversi tempi di riposo (24 e 12 ore) in cui si percepiscono gli eccezionali profumi dell’erba di alta quota; anche se adatta a una lunga stagionatura, oggi la Toma è spesso venduta fresca.
Andrea, un caro amico che ci ha ospitato a Saint Jacques, ci ha spiegato che la produzione della Toma di Gressoney, come quella del Fromadzo, è stata conseguente a quella del burro (ottenuto dalla panna che affiorava dal latte lasciato a riposo) che nei tempi passati, era una merce di scambio molto più preziosa del formaggio, utilizzato per il consumo familiare.
Partiti da Saint-Jacques, dopo aver attraversato la Valtournenche abbiamo trascorso due notti nei rifugi gestiti dai Barmasse, famiglia di guide alpine. Lo spettacolo delle Alpi valdostane è indescrivibile: lo sguardo si perde seguendo i contorni delle vette. I prati verdi che risplendono nelle giornate di fine agosto testimoniano secoli dedicati al pascolo di pecore, capre e soprattutto vacche. La valdostana Pezzata Rossa (animale che si può incontrare nei luoghi più impensabili, grazie alle sue notevoli capacità motorie) e quella Nera-Castana (discendente dalla Hérens Svizzera) sono le razze bovine che da secoli forniscono il latte da cui sono nati tutti i formaggi di queste vallate.
Arrivati in Valpelline, abbiamo potuto degustare uno dei piatti tipici della valle e simbolo enogastronomico regionale: la Seupa à la Vapelenentse. Si tratta di un piatto povero, fatto per non sprecare il pane raffermo, perfetto per scaldarsi nei lunghi e nevosi inverni. Si alternano strati di pane, di verza, (qualcuno aggiunge il lardo) e di fontina e per finire il tutto viene irrorato di brodo e infornato: è un piatto sostanzioso, ricco di gusto e di profumo, grazie soprattutto alla fontina, la vera protagonista della caseificazione valdostana, un prodotto che si è mantenuto nei secoli. In un affresco del Castello di Issogne, della fine del XV secolo, sul banco degli alimenti si può notare una forma di formaggio dello stesso tipo dell’attuale fontina.
La sua lavorazione avviene subito dopo la mungitura, dal latte crudo intero e, per raggiungere la certificazione, deve stagionare almeno tre mesi. La sapiente mano dell’uomo, dopo aver salato le forme, le spazzola, rendendo liscia e semipermeabile l’inconfondibile crosta arancione. La stagionatura, fatta su scalere(ripiani) rigorosamente di abete rosso, assume un ruolo fondamentale per la produzione ottimale della fontina e il risultato è un formaggio intensamente profumato, morbido, elastico, dall’occhiatura rada.
I magazzini ideali per la maturazione sono luoghi in cui la temperatura e l’umidità si mantengono stabili, come le caverne scavate nelle montagne. In Valpelline c’è un magazzino per la stagionatura della fontina davvero particolare, all’interno di una miniera di rame abbandonata, la miniera di Preslong. Sfruttata fino alla Seconda guerra mondiale come miniera, dal 1961 grazie alla Cooperativa dei produttori è diventata un luogo per stagionare la fontina. Così, le rotaie che una volta trasportavano il rame oggi vengono usate per trasportare le 60.000 forme che il magazzino può contenere. Non è l’unico esempio di riutilizzo di edifici storici della regione: in tutta la Valle d’Aosta ne sono presenti ben sei, la maggior parte dei quali un tempo erano forti militari.
La produzione di Fontina è cresciuta nel tempo e ha visto sorgere molti caseifici, insieme ai quali è cresciuta anche la “Cooperativa produttori latte e fontina della Valle d’Aosta” che continua a tutelare la genuinità del prodotto. Nel 1996 la Fontina ha ottenuto la Denominazione d’Origine Protetta e il Consorzio di tutela vigila sulla produzione e provvede alla marchiatura delle forme idonee. Il raggiungimento della DOP ha permesso di contenere tra le valli valdostane la produzione di questo formaggio, oramai venduto in tutto il Paese. Una buona parte della produzione si è omologata alle leggi del mercato facendone un prodotto semi-industriale, ma sono moltissimi i piccoli caseifici, disseminati in tutto il territorio, che puntano sulla qualità.
Dal passo del San Bernardo a Courmayeur siamo stati ospiti di Stefano Brambilla, giornalista del Touring Club e a darci il benvenuto c’era una degustazione di fontine d’alpeggio del caseificio Panizzi. La fontina d’alpeggio raccoglie nelle sue note aromatiche tutti i profumi dei fiori e lascia in bocca un leggero retrogusto amarognolo. Il profumo intenso di erba è presente nelle forme giovani, più sono i mesi di stagionatura più affievolisce il gusto dolce e la parte amara si fa ricca e complessa, rendendola fontina un formaggio eccezionale nei suoi sapori.
Le forme di fontina sul mercato rivendicano con il loro timbro la provenienza montana: l’enorme vetta che sigla la Fontina DOP è una carta d’identità che abbraccia la storia delle montagne valdostane e dei suoi abitanti.
In conclusione, in tutta la valle, l’allevamento è un’attività radicata da secoli e ha segnato profondamente la cultura e la vita dei suoi abitanti. I formaggi e tutti gli altri derivati dalla produzione del latte sono un vero e proprio simbolo culturale della regione più piccola in Italia. Col passare degli anni, i prodotti caseari si sono trasformati da mezzo di sussistenza a preziosa merce di esportazione, fino a diventare simbolo identitario e biglietto da visita.