Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto
Siamo giunti in Umbria nella prima tappa dell’Appennino Centrale, in una giornata tra i boschi, sotto la pioggia. Dopo una curva, fuori dal bosco, ci aspettava il panorama che ci ha accompagnato fino al termine della prima tranche del nostro cammino. Il sole, filtrando tra le nuvole,illuminava le vallate che si offrivano al nostro sguardo e noi, in quella atmosfera così suggestiva, siamo tornati indietro nel tempo: ci pareva di essere dei pellegrini medievali.
Le tappe lungo il crinale tra il Monte Cucco e il Monte Pennino ci hanno condotto a Bagnara, frazione di Nocera Umbra, dove siamo arrivati con il buio. Le luci dell’enorme complesso per l’estrazione di carbonato di calcio sembravano quasi disegnare un luogo post-atomico, ed effettivamente una tragedia ha colpito a fondo l’area: il terremoto di Foligno del 1997. Oggi, le abitazioni provvisorie per i tanti sfollati sono diventate strutture di accoglienza per i turisti che vogliono esplorare la natura e conoscere la storia del territorio. A gestire il complesso è l’Università Agraria di Bagnara, una volta chiamata “Università degli uomini”, un ente che dal 1352 si occupa delle proprietà silvo-pastorali ai piedi del Monte Pennino, con modalità molto simili a quelle delle “regole” del Veneto e del TrentinoAlto-Adige. L’appartenenza all’Università si tramanda di padre in figlio o si acquisisce dopo cinque anni di residenza a Bagnara.
L’Università Agraria di Bagnara ha saputo curare il territorio con lungimiranza, preservando i beni comuni. Ad esempio, il taglio del bosco avviene con una rotazione ventennale e, nella parcella tagliata, vengono piantati nuovamente alberi che saranno pronti vent’anni dopo, così da preservare le risorse del territorio. I proventi ricavati dalla vendita del legno sono reinvestiti in altre attività. Una delle più interessanti è quella di Agrobio Monte Pennino, un progetto che mira al recupero dei legumi più antichi, contrastando l’abbandono dei terreni e valorizzando un territorio ricco di storia, natura e cultura (anche Dante parlò di questi luoghi, nell’XI canto del Paradiso: Intra Tupino el’acqua che discende del colle eletto dal Beato Ubaldo fertile costa d’alto monte pende).
Su questa terra fertile, da sempre, vengono coltivate diverse specie di legumi, come ceci, lenticchie e roveja. In epoca medioevale, i legumi erano la base dell’alimentazione sia delle classi più povere, sia dei monaci: sostituivano così la carne e i cereali più preziosi con un alimento nutriente e proteico, indice di uno stile divita sano e sobrio. Proprio ai piedi del Monte Pennino, intorno all’anno Mille,cominciarono a sorgere numerosi monasteri, tra i quali quello di San Pietro di Landolina (o monastero longobardo) in cui i cavalieri di Assisi vennero a recuperare San Francesco morente. È facile immaginare, negli immensi refettori, le lunghe tavole con decine e decine di scodelle di terracotta piene di zuppe di legumi.
Agrobio Monte Pennino, oltre a vendere i legumi secchi, vende anche pasta e farine ricavate da cereali e legumi. In particolare, ha scelto di sfruttare una tradizione della valle: la macinazione lungo le sponde del fiume Topino. Il mulino Tega, che veniva usato all'inizio del Novecento per la macerazione delle ginestre da cui ricavare tessuti e poi per estrarre carbonato di calcio, oggi è al centro del progetto di Agrobio Monte Pennino. La macinazione a pietra a chicco intero a bassa velocità, per evitare l'eccessivo riscaldamento, permettedi mantenere intatte le proprietà organolettiche e nutrizionali e rende eccellenti le farine e le paste (una per tutte, la farina di ceci, ottima perla produzione della farinata, dei lievitati e per insaporire le zuppe).
Da Bagnara ci siamo spostati in massa (molti amici ci hanno raggiunto, in vista della fine della prima tranche della nostra avventura) verso Colfiorito, dove siamo stati accolti dallo staff del Parco Naturale di Colfiorito. L’area è un ecosistema unico, composto da aree paludose, vero e proprio scrigno della biodiversità, con uccelli (in particolare il tarabuso), pesci, mammiferi e insetti. La presenza di un grande lago oggi diventato palude (a partire dai romani, nei secoli molte furono le opere di drenaggio), rende l’altopiano di Colfiorito un territorio particolarmente fertile dove si producono legumi di elevata qualità.
La lenticchia di Colfiorito si contraddistingue per la sua straordinaria varietà di colori, dal rosso al giallo o al verde. Come la più rinomata lenticchia diCastelluccio, la lenticchia di Colfiorito è di piccole dimensioni e molto tenera e si può cucinare direttamente senza preammollo, riducendo i tempi di preparazione.
RenzoCellini, il proprietario dello Snack Bar che si trova davanti alla sede del Parco Naturale di Colfiorito, ci ha raccontato con passione la sua esperienza di coltivatore: le scarse piogge hanno permesso di raccogliere soltanto pochi quintali di lenticchie (solitamente se ne raccolgono circa cinque quintali l’ettaro), tanto che è difficile credere all’autenticità dell’enorme quantità di legumi umbri che si trovano in vendita in tutta Italia. “Spesso sono prodotti che vengono dal Canada o dall’Argentina”. Con malizia, ci svela poi il segreto della spettacolare fioritura della Piana di Castelluccio, che ogni anno attira migliaia di turisti: “I papaveri non nascono spontanei, li seminano insieme alla lenticchia per attirare i turisti”. La moglie di Renzo ci consiglia una ricetta semplice e gustosa da preparare con le lenticchie di Colfiorito: bollire le lenticchie, scolarle e unirle ad un trito di cipolla, sedano e carote, condirle con un buon olio umbro e godersi un piatto sano, leggero e nutriente.
Lungo le strade di Colfiorito, è facile imbattersi in cartelli che indicano la vendita della Patata Rossa di Colfiorito, che nel 2015 ha ottenuto l’IGP. Ma a sorprenderci è ancora una volta un legume: la cicerchia. E’ un legume molto antico, a lungo considerato di seconda classe perché “classico” alimento durante le carestie (si tratta di una pianta molto resistente, in grado di crescere in condizioniclimatiche molto difficili). In Umbria viene chiamato anche pisello quadrato ed è ottimo mangiato in umido; a differenza degli altri legumi, non ha bisogno di molta acqua per la cottura. Tuttavia, questo prezioso legume conserva una percentuale di tossicità, minima nelle semenze selezionate, ed è perciò sconsigliato per un uso quotidiano.
Un altro legume che abbiamo scoperto tra gli altipiani umbri è la roveja, un pisello selvatico dai colori che variano dal marrone al grigio o al verde. Destinato a scomparire, per un caso fortuito la sua produzione sta lentamente crescendo. Il ritrovamento a Civita di Cascia di un vecchio barattolo con semi colorati ha riportato alla luce una pianta infestante, capace di crescere con poca acqua e in alta quota (veniva usata sia come legume sia come pianta da foraggio), raccontandoci un altro pezzo della vita del tempo passato: la roveja infatti, era uno dei pasti quotidiani dei pastori dei Monti Sibillini, grazie alla grande facilità del suo reperimento. Con la farina di Roveja si prepara la Farecchiata, una polenta condita con trito d’aglio, olio e acciughe, dal sapore leggermente amarognolo,che si sposa bene anche con il lardo o il guanciale.
Il 10 febbraio del 2019 è stata indetta la prim aGiornata Mondiale dei legumi: queste preziose piante, ricche di storia, sono state selezionate nei millenni per la loro capacità di rigenerare i terreni,grazie al rilascio dell’azoto. I legumi accompagnano nei secoli la storia dell’uomo, soprattutto delle classi più povere, e ancora oggi si presentano al mondo come una fonte vitale per la lotta alla fame e all’inquinamento. Nascosta in queste semenze c’è una saggezza antica, tutta da gustare.