Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto e Andrea Buonopane
Il Monte Vulture è un vulcano spento che si erge solitario al centro del Sud-Italia: ci troviamo in Basilicata, a pochi chilometri da Melfi. Grazie al suolo fertile, lungo le pendici del Vulture cresce una rigogliosa vegetazione - in prevalenza castagni - che si pone in contrasto con i terreni coltivati che lo circondano. Dalla profondità del monte sgorgano numerose sorgenti d’acqua: alcune di queste danno vita agli stupendi laghi di Monticchio, altre vengono usate per l’imbottigliamento dalla Gaudianello, “lo champagne delle acque minerali”, secondo alcuni. L’area, impreziosita dalla Badia di San Michele Arcangelo, è da poco diventata parco nazionale e, nonostante la sua forte attrattiva turistica, rimane uno di quei luoghi incantati sconosciuti ai più.
Poco distante dai laghetti di Monticchio, sopra una collinetta, sorge l’Agriturismo del Riccio: “Ero in giro in macchina e ho visto questo posto abbandonato con l’erba alta, ho scavalcato e sono entrato. C’era un bel tramonto e da lì è partito tutto, me ne sono innamorato”. A parlare è Antonio Locuratolo, che insieme alla compagna Stefania Lamorte ha trasformato un vecchio casolare colonico (dei mezzadri marchigiani arrivati al seguito dalla famiglia Lanari) nell’Agriturismo del Riccio. Il riccio del Vulture, oltre a contenere un fantastico prodotto come il Marroncino di Melfi DOP, da tre anni è un contenitore di idee, passione e felicità.
Antonio, mentre ci racconta la storia del casolare, ha l’aria pensosa di un uomo d’altri tempi: un uomo del sud, silenzioso e riflessivo ma accogliente e gioviale. Dopo aver viaggiato per il mondo da fotografo professionista, ha deciso di tornare nei luoghi della sua infanzia: “Vedevo i miei amici che partivano e non tornavano più, e questa cosa mi seccava. Ho pensato ai miei genitori e al fatto che un domani sarebbero stati soli. Questi due elementi mi hanno fatto pensare ad una terra che pian piano si inaridisce”.
Antonio si è subito trasferito a vivere nel casolare per lavorare al suo progetto di ritorno a casa, ma da solo non ce l’avrebbe mai fatta e con un sottointeso “ti prego aiutami” ha chiesto il supporto di Stefania, la sua compagna. In quel momento Stefania studiava economia in Germania, ma senza pensarci due volte ha risposto alla chiamata e si è buttata nell’inseguimento di un futuro diverso: “I miei non mi vedevano mai, venivo a lavorare al casolare dalle quattro del mattino fino a notte fonda. Non capivano cosa stesse succedendo”, racconta Stefania.
Il primo pensiero è stato quello di dare vita ad un'azienda agricola con cui fare progetti, come una fattoria didattica per fare avvicinare anche i più piccoli agli animali. Gli animali sono la grande passione di Antonio, che ha lasciato queste terre per studiare etologia a Parma. Da molti anni si dedica all’addestramento di cani da tartufi, che qui sono davvero abbondanti: “Mi piace quando l'animale è un prolungamento dell'essere umano, com'era una volta” ci dice Antonio, mentre sopra le nostre teste svolazza uno stormo di piccioni viaggiatori, anch'essi allevati da lui. Grazie alle competenze economiche di Stefania, la coppia si è subito resa conto delle difficoltà di sviluppare un progetto di didattica in un territorio senza un grande bacino d’utenza. La ristorazione era l’unico modo per far sì che questo luogo si trasformasse in una piazza, un punto d’incontro, un laboratorio polifunzionale. “Ci siamo avvicinati alla ristorazione perché è creativa e ti dà la possibilità di cambiare e variare. Poi mio nonno diceva che tutti hanno la bocca, quindi tutti mangiano. Era una buona risposta” riflette saggiamente Antonio.
Improvvisarsi ristoratori non è cosa semplice e i ragazzi lo hanno avuto chiaro fin da subito; non avendo alcuna esperienza nel settore si sono rivolti ad uno chef della zona che, oltre a lavorare in cucina, insegnava in un vicino istituto alberghiero. “Lo abbiamo cercato perché volevamo un riferimento solido in cucina, in più si è rivelata una persona squisita a livello umano. Per noi è stato come uno zio, fondamentale per avviare il nostro progetto”, spiega Stefania. Il loro si è rivelato approccio saggio e vincente: “È raro che stiamo in cucina, in fin dei conti ognuno deve fare il suo. Noi siamo dei ragazzi che cercano di fare imprenditoria, quindi, o tagli l’erba o fai altro. Io, per esempio, mi occupo del fuori, mentre Stefania dell'accoglienza e della parte burocratica” dice Antonio.
Il ristorante dell’Agriturismo del Riccio è divenuto la pietra angolare su cui regge il sogno di Antonio e Stefania. A tavola si servono i prodotti del bellissimo orto (peperoni, zucchine, pomodori, melanzane e verdure varie) e i derivati degli animali del cortile (pavoni, oche, galline, tacchini). Il territorio poi, regala altri prodotti unici, come i tartufi che Antonio trova con i suoi intelligentissimi Lagotti romagnoli, o il Marroncino di Melfi, castagna prelibata particolarmente adatta per i dolci. La creatività del ristorante permette di raccontare e innovare la storia di questo territorio, presentando i piatti della tradizione in modo nuovo e accattivante. Abbiamo assaggiato gli strascinati di farina di castagne con i funghi: una pasta fresca dalla forma di barchetta realizzata “strascinando” con le dita il pezzetto di pasta, la cui lunghezza varia in base al numero di dita usate, solitamente due o tre. E il baccalà alla trainiera, che invece racconta la storia del “pesce di montagna”, ovvero il pesce più semplice da trasportare(trainato con i muli) che divenne un prodotto tipico dell’entroterra lucano.
Entrambi i piatti sono arricchiti dal peperone crusco, prodotto simbolo della Basilicata: si tratta del peperone corno di capra che viene lasciato essiccare e poi usato sbriciolato o a pezzi per arricchire i piatti. Solitamente prima di essere servito viene passato al forno o fritto, per aggiungergli un po’ di brio. Ad accompagnare il pasto non poteva mancare l’Aglianico del Vulture, definito anche il Barolo del sud. Un vino dalla lunga storia, coltivato soprattutto nel versante Sud-Est nei comuni di Rionero del Vulture e di Barile, dove il vino invecchia in meravigliose cantine scavate nella roccia vulcanica (quelle di Barile furono il set del Vangelo Secondo Matteo di Pasolini).
Immersi nel silenzio, i rumori della natura e degli animali ci accompagnano mentre ammiriamo il fantastico tramonto. Dietro l’obiettivo fotografico, Antonio è riuscito a ritrovare l’anima e la bellezza di questi luoghi appiattiti dalla familiarità. Lui e Stefania hanno realizzato qualcosa di bello, funzionale e vivo. Il Riccio è un luogo di pace, di relax e di speranza, un modello a cui ispirarsi per una valorizzazione efficace degli altri paradisi abbandonati, nascosti dell’entroterra. L'Agriturismo del Riccio è un’eco di numerosi messaggi: il coraggio di tornare a vivere in bellissime aree spopolate, la possibilità di sognare una vita a contatto con la natura e il piacere di una ristorazione come un luogo vivo in cui i sapori sono la sintesi di storia, passione e cura.