Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto e Andrea Buonopane
Ci siamo lasciati la Liguria alle spalle attraversando i passi della Cisa e dei Due Santi, da cui il vento marino scende verso la pianura padana regalando i suoi profumi ai salumi lasciati stagionare sulle colline parmensi. Siamo entrati nell’Appennino Tosco Emiliano in autunno inoltrato e nei borghi cominciava a echeggiare lo scoppiettio delle caldarroste. La castagna, che oggi pare essere semplicemente un cibo da passeggio autunnale, è stato per anni il frutto più prezioso della montagna e proprio nell’Appennino Tosco Emiliano viene meglio conservato questo antico valore.
Dal passo della Cisa ci siamo spostati nel piccolo borgo di Apella nel comune di Licciana Nardi, in Lunigiana. Qui Mario Maffe e i figli Luca e Barbara hanno dato vita all’Agriturismo Montagna Verde, in cui alla produzione biologica viene affiancato l’allevamento di razze antiche. Dopo aver ristrutturato la bellissima torre di Apella, in cui ha sede il ristorante gestito da Luca, hanno ridato vita al piccolo borgo realizzando un albergo diffuso che permette ai turisti di immergersi totalmente nella realtà rurale della Lunigiana.
Tra le viuzze del borgo ci sono delle casupole il cui utilizzo nel tempo era stato quasi dimenticato: si tratta dei “gradili”, ovvero di essiccatoi per le castagne. Presenti in tutto l’Appennino, pur sotto vari nomi (metato, seccatoio, seccaiola, canniciai o canniccio), sono i protagonisti di uno dei passaggi fondamentali nella lavorazione del frutto simbolo della montagna: dopo aver venduto i marroni freschi, bisogna conservare quelli che restano, fino alla raccolta successiva.
I gradili, alcuni dei quali perfettamente funzionanti e in uso, sono costituiti da due superfici: sotto c’è un piano di arenaria sul quale viene acceso un fuoco, di legno di castagno, che brucia lentamente; sopra c’è una grata di assicelle, sempre di legno di castagno, sulla quale vengono adagiati i frutti. Solitamente è presente una piccola porticina in alto che permette di muovere di tanto in tanto le castagne. Il processo di essiccazione è molto lento, può durare da venticinque a quaranta giorni, e richiede la costante presenza di qualcuno che lo controlli. Per scoprire quando le castagne sono pronte esistono metodi tradizionalmente empirici, ad esempio mettere una mano sull’architrave per sentire se è ancora umido.
Le castagne essiccate della Lunigiana oltre ad essere utilizzate per delle ottime zuppe, sono rinomate per la Farina di Castagne della Lunigiana DOP, inconfondibile per la sua dolcezza. Oltre all'essiccazione tradizionale (che un tempo si faceva anche nei boschi), la macinazione deve essere fatta a pietra. Prima di quest’ultimo passaggio vi è un sapiente lavoro di battitura e pulitura, la baladura (o ballatura) che serve a mondare le castagne e un tempo veniva fatta “ballandoci” sopra al ritmo delle canzoni popolari.
La castagna era definita anche “il pane dei poveri” e in Lunigiana un pane di farina di castagne continua ad essere presente in tavola, si tratta del pane marocca. Molti sono i piatti a base di farine di castagne: la polenta dolce (che comunque è un piatto salato, spesso accompagnato da baccalà o aringhe) e le lasagne bastarde, ad esempio.
Di castagne se ne mangiavano tante e fino all’industrializzazione hanno rappresentato per le comunità montane una preziosa merce di scambio. La coltivazione di questo frutto risale ai romani, è proprio in quel periodo che il castagno ha cominciato a sostituire la quercia. Nel medioevo erano moltissimi gli statuti che regolarizzavano la gestione dei boschi e dei castagneti, punendo severamente chi trasgrediva le regole. Il governo di Lucca alla fine del ‘400 aveva istituito una vera e propria magistratura che si occupava del prezioso frutto. Probabilmente anche il poeta Ludovico Ariosto mentre, come commissario della famiglia d’Este (combatteva i banditi a Castelnuovo di Garfagnana) se ne sarà interessato.
Nell’epoca moderna le castagne hanno assunto un ruolo di prim’ordine nell’economia agraria, garantendo, oltre alla sopravvivenza della popolazione montana, un surplus per l’esportazione. Il declino dell’importanza di questo frutto (che sostituiva il frumento tanto da essere chiamato anche “il cereale che cresce sugli alberi”), avvenne nella seconda metà del Novecento con l’industrializzazione di massa e lo spopolamento delle montagne.
In tutto l’Appennino il consumo della castagna non è certo scomparso, in particolare è molto frequente in Garfagnana dove il frutto viene chiamato “neccio”, nome che sta ad indicare anche un piatto che è arrivato fino in Corsica, dove viene chiamato “nicci”. Si tratta di una sorta di “crepes” fatta di farina di castagne e acqua. Abbinata tradizionalmente alla ricotta, oggi è spesso mangiato come dolce, arrotolato e guarnito con la cioccolata. Abbiamo avuto la fortuna di assaggiarlo sotto i portici dello splendido borgo di Castelnuovo di Garfagnana (luogo in cui è nata l’idea del Sentiero Italia) e ci ha colpito l’abilità necessaria per la sua preparazione, tutt’altro che semplice; si ricorre anche al sapiente uso delle foglie del castagno per non far attaccare l’impasto alle piastre roventi: si adoperano quelle raccolte in estate, reidratate con l’acqua, così aiutano ad accentuare il profumo di castagno. Alla tradizionale farcia con la ricotta si affiancano svariati accostamenti, soprattutto con la carne: una volta, infatti, il neccio era usato come pane o piadina.
Al passo della Futa ci hanno raggiunto Giancarlo e Andrea Barzagli due ragazzi originari di Razzuolo, piccolo borgo nel Mugello dove un tempo passava la Linea Gotica (raccontata nel progetto fotografico Grüne Linie realizzato da Giancarlo). I due fratelli hanno dato vita al festival Foglia Tonda per riportare l’attenzione dei più giovani verso i borghi di montagna, utilizzando anche la riproposizione delle specialità gastronomiche. Alla Casa del Popolo mamma Laura ci ha meravigliosamente saziati con un’enorme quantità di buonissimi tortelli mugellani ripieni di patate con un battuto di aglio e prezzemolo, un po' di pomodoro, noce moscata e parmigiano, serviti con ragù bolognese oppure olio e parmigiano.
E per finire in dolcezza, oltre al delizioso budino di castagne e caramello, non poteva mancare il castagnaccio, simbolo della cucina a base di castagna. È un piatto povero molto semplice da preparare, basta fare un impasto di farina di castagne, acqua, latte e olio extravergine, stenderlo su una teglia e cuocerlo in forno. Molte sono le varianti, c’è chi aggiunge uvetta o frutta secca, chi le scorze d’arancia o rosmarino. Ottimo accompagnato con il miele di castagno o la ricotta e del buon Vin Santo.
Il legame delle comunità montane con questa pianta è antico e profondo, come testimoniano le usanze e i riti legati alla sua crescita e al suo consumo. Gli abitanti delle montagne hanno anche attribuito alla castagna poteri miracolosi e taumaturgici: ci hanno detto che tenere una castagna in una tasca della giacca è un ottimo rimedio contro i malanni di ogni genere… Inoltre, per concludere, se in campagna i neonati storicamente venivano portati dalla cicogna o rinvenuti sotto un cavolo, sull’Appennino Tosco-Emiliano si trovavano nei tronchi cavi dei vecchi castagni: alberi portatori di vita!