Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto e Andrea Buonopane
Siamo arrivati al Rifugio Potzmauer in uno stupendo pomeriggio di sole di metà giugno: finalmente il meteo stava migliorando. Dopo la serata spesa a mangiare, bere e suonare in compagnia del folle rifugista Roberto, siamo ripartiti il mattino dopo in compagnia di Vittorio, presidente del CAI di Salorno, è stato il nostro Virgilio nella scoperta della Val d’Adige.
La Val d'Adige è quasi completamente ricoperta di coltivazioni, per la maggior parte meleti e vigneti. Dall’alto sembra disegnata con il righello, una linearità interrotta dal flusso sinuoso del fiume Adige. Le rocce delle montagne fanno da sfondo a un affascinante scenario di campi coltivati, piccoli borghi e montagne.
La coltivazione delle mele è cresciuta dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie al drenaggio della pianura paludosa. Prima, si producevano soprattutto cereali e mais, mentre le mele servivano solo per il consumo familiare, oggi invece la produzione intensiva di mela Altoatesina ha reso la regione una delle principali produttrici di mele d’Europa. Una produzione che ha avuto e ha ancora oggi un notevole impatto ambientale.
Negli ultimi anni i produttori sono diventati consapevoli di quanto sia importante preservare la biodiversità del territorio, così alla Golden Delicious nel tempo si sono aggiunte altre varietà, ad esempio la Pink Lady. Inoltre, sempre più si assiste ad un cambio di paradigma: dalla quantità alla qualità, così l’aumento delle varietà è accompagnato dalla trasformazione delle coltivazioni normali in coltivazioni biologiche.
La crescita della Val d’Adige è strettamente connessa alla storia della regione. Il Trentino Alto-Adige è una regione a Statuto Speciale e questa particolare forma di autogoverno è dovuta sia a una ragione geografica sia, e soprattutto, a una culturale. Gran parte della regione è appartenuta all'Impero Asburgico, fino alla sua disgregazione alla fine della Prima Guerra Mondiale. Allora i confini dello Stato italiano furono spostati sulla cima delle montagne per una migliore strategia difensiva. La parte di territorio che nell'Impero era il sud del Tirolo, divenne il nord(Alto) della Val d’Adige nella giovane Italia.
Il Trentino Alto-Adige è una regione famosa per non essere “troppo italiana”: la vita sembra essere organizzata con più cura e precisione rispetto allo stereotipo dell’organizzazione media italiana. Spesso poi si tende a pensare che trentini e altoatesini siano una popolazione “fredda”, simile alle altre popolazioni germanofone, forse però è il caso di chiedersi se queste considerazioni non siano il frutto di stereotipiche andrebbero rivisti, anche alla luce della nostra esperienza. A Salorno abbiamo incontrato persone felici e solari, che vivono in un luogo dove“semplicemente” le cose funzionano e il tasso di disoccupazione è al 3%, uno dei più bassi al mondo. Le politiche messe in atto hanno cercato di raggiungere gli obiettivi previsti creando equilibrio tra uomo e ambiente.
L’esempio di un sistema, radicato nel tempo, che mostra ancora oggi la sua potenzialità, è il Maso Chiuso. Il Maso è il nome di una proprietà agricola a conduzione familiare e la sua particolarità è il diritto ereditario che la governa: solo un figlio riceve l’intera azienda (tradizionalmente è il primo figlio maschio, ma l’attuale legge non è così vincolante). Tale meccanismo ha avuto un’enorme conseguenza: non c’è stata la parcellizzazione delle proprietà agricole che è stata ed è tutt'oggi un dramma per il nostro paese. Le dispute fra i vari eredi portano all'abbandono del suolo e la divisione di una proprietà agricola in parti sempre più piccole rende la loro coltivazione insufficiente per il sostentamento delle famiglie e comporta nel tempo l’abbandono del mondo rurale.
In questa valle abbiamo visto invece un’agricoltura dalle forti potenzialità che rende possibile mantenere, grazie all'indipendenza economica, una cultura e uno stile di vita a cui viene riconosciuto lo stesso valore della cultura e dello stile di vita della popolazione cittadina e questo oggi non è un fatto scontato né tanto meno abituale! Abbandonare un Maso, passato di generazione in generazione, è distruggere un pezzo di storia, ristrutturarne uno significa ridare vita ad un tesoro architettonico.
Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Felice, che dorme ancora nella stanza in cui è nato, nel suo bellissimo Maso sopra Salorno: nella semplicità di uno stile di vita, per molti simbolo di sofferenze e patimenti, sembra nascondersi il segreto della felicità. Felice ci ha accolti nella sua piccola baita, appunto Baita Felice, costruita insieme al padre. Quarant'anni fa hanno piantato alberi tutt'attorno, oggi sono divenuti enormi pini che incastonano la Baita Felice, rendendolo un posto unico e magico. Siamo stati accolti dai bicchieri prima che dai saluti; il primo brindisi lo abbiamo fatto con lo Chardonnay prodotto da Mohammed, un ragazzo musulmano che vive accanto al Maso di Felice, e subito dopo Felice ci ha fatto provare il suo Solaris. Abbiamo fatto onore a uno splendido pranzo nel bosco, in una giornata piena di sole e la scena di Felice che versa la polenta dal paiolo al tavolo è indimenticabile.
Continuando la nostra tappa, accompagnati dall'ebbrezza del vino e delle grappe bevute, abbiamo camminato attraverso le pergole, vigneti tradizionali del Trentito Alto- Adige, per arrivare al Maso di Felice, un enorme edificio che dal XVI secolo ha saputo trasformarsi e adattarsi ai diversi stili di vita che ha ospitato. Per cena, una trentina di persone si sono radunate sotto il portico che domina la valle per degustare l’ottima cucina della moglie di Felice, donna energica e vitale come il marito. A cena quasi conclusa, Felice ci ha invitati a vedere la sua cantina, chiamata Breibehof Maso Cason: un luogo magico per il riposo dei vini e per la loro degustazione in compagnia di tanti amici. Il vino di Felice è da sempre fatto in maniera naturale e con fermentazione spontanea, un gesto semplice per chi vive in perfetta armonia con la natura. Felice ci ha aperto due bottiglie del suo Pinot Nero del 2014: un gioiello di semplicità e purezza che donava, come il suo produttore, vitalità e gioia.
Abbiamo trascorso solo due giorni a Salorno, ma è sembrata una settimana. Abbiamo passato il nostro tempo con tante fantastiche persone a cui vogliamo dire grazie. La ricetta simbolo del territorio è quella dei Canederli, una creativa forma di trasformazione degli scarti quotidiani in un sostanzioso e saporito piatto. Abbiamo mangiato delle perfette palle di pane in mezzo alla Val d’Adige durante il tramonto ed è stata la giusta conclusione di due giorni passati in compagnia di belle persone.
Ecco la ricetta dei Canederli che Ester, la nonna di Vittorio, cucinava nel suo ristorante “Alla resurrezione”,un pezzo di storia e d’amore.
CANEDERLI
(Bombe alla trentina)
- Tagliare a dadini 500g di pane (tipo rosette) raffermo e, in una terrina, bagnarlo con 1lt. di latte lasciandolo a bagno per 1 ora.
- Rosolare 100g di pancetta affumicata tagliata a dadini, insieme ad una piccola cipolla tritata.
- Strizzare bene il pane ammollato, rimetterlo nella terrina insieme al soffritto di pancetta, una lucanica stagionata tagliata a dadini, un trito di prezzemolo, 3 uova, 100 g di farina bianca, poco sale.
- Impastare il tutto con le mani, formare delle palle (delle dimensioni di una piccola mela) molto compatte e passarle in poca farina.
- Preparare una pentola di brodo di carne, portare a bollore, immergervi i canederli che verranno tolti non appena vengono a galla.
- Servire nel brodo caldo con grana grattugiato a parte, o come accompagnamento al gulash.
I canederli si dicono "sporchi"se contengono molta pancetta e lucanica, ma non bisogna esagerare perché altrimenti i canederli si "sgranano" ovvero perdono compattezza e si sgretolano. Al posto della lucanica si può usare salame ungherese. Si può aggiungere sempre del prosciutto di Praga a dadini.