Questa tappa è stata documentata grazie al contributo di Ivana Barbarino.
Tappa di notevole lunghezza e dislivello medio, molto panoramica e piacevole: valichiamo i confini della Basilicata.
Col Monte Vulture (1.326 m) sullo sfondo, giungiamo nel bellissimo borgo di Melfi, con le mura del castello normanno a fare da padrone.
Segnaletica assente fino all'ingresso in Basilicata; dalla ferrovia si trovano i segnavia. Bene comunque monitorare la traccia GPS.
Lungo la via si possono incontrare molti cani randagi, generalmente mansueti: prestare comunque attenzione.
Punti acqua assenti.
Lasciamo Candela e ci immettiamo subito su sterrato leggermente in discesa (100 m D- circa) fino a attraversare un breve tratto di strada. Superata una conca su strada carrozzabile, riprendiamo leggermente quota (100 m D+ circa) e ritorniamo su strada asfaltata, salendo ancora un poco: attorno a noi spiccano qua e là alcune formazioni rocciose erratiche.
Lasciamo la strada e, di nuovo su carrozzabile, proseguiamo verso sud perdendo gradualmente quota (250 m D- circa). Arrivati sulla strada asfaltata, in corrispondenza di una torre d'avvistamento per la fauna (dove all'occorrenza ci si può riparare dalle intemperie), pieghiamo a sinistra fino a superare la ferrovia ed entriamo in Basilicata. Teniamo la sinistra al successivo bivio, quindi ci stacchiamo dalla strada e ritorniamo su carrareccia; passiamo sotto un ponte di mattoni (sopra cui passa la ferrovia) e attacchiamo una leggera ma lunga salita (350 m D+ circa) tra le pale eoliche. Giunti sulla sommità del colle, attraversiamo un breve tratto di bosco, quindi scendiamo appena e rientriamo su strada asfaltata. Dopo circa 4 km, prendiamo la carrozzabile sulla sinistra e proseguiamo in direzione del Monte Perone (661 m), prima del quale svoltiamo verso destra con Melfi ben in vista.
Da lì, di nuovo su asfalto, scendiamo (150 m D- circa) fino alla strada sottostante il castello di Melfi, che prendiamo verso sinistra attraversando l'antico borgo.
Nelle campagne intorno a Melfi si vedono volare numerosi falchetti, forse discendenti dei falchi portati qui da Federico II.
La più grande passione dell'Imperatore era la caccia con il falco e, divenuto un grande esperto di falconeria, scrisse il De Arti Venandi Cum Avibus: un vero e proprio trattato scientifico, frutto di un lavoro trentennale, in cui l’esperienza della caccia con i falconi viene descritta in ogni suo passaggio e la natura viene indagata in base all'esperienza, precedendo la nomenclatura delle specie di uccelli, introdotta da Linneo, di ben 500 anni.
Federico II introdusse l'arte della falconeria in Europa importandola dal mondo arabo, con il contributo di numerosi falconieri mediorientali.
Ancora oggi a Melfi si tiene il Convegno Nazionale di Falconeria.
La storia di Melfi è strettamente legata agli sviluppi del Sud-Italia.
Punto chiave tra le terre campane e quelle pugliesi, Melfi fu la sede della Contea di Puglia e nel suo castello si tennero ben cinque concilii ecumenici, tra il 1059 e il 1137 (in uno di questi, Papa Urbano II indisse la prima Crociata) - uno dei periodi più floridi della sua storia: da allora a Melfi è presente la sede vescovile nello splendido Palazzo del Vescovado.
Alla dominazione normanna seguirono quelle angioine e aragonesi e fu durante il governo spagnolo che avvenne uno degli avvenimenti più tristi della storia della città: la Pasqua di Sangue. Melfi venne saccheggiata e messa a fuoco, i suoi abitanti furono trucidati dalle truppe francesi scese in Italia dopo il Sacco di Roma (1527) ad opera dei Lanzichenecchi - mercenari Luterani al soldo di Carlo V (Re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero di Germania). I Francesi colsero l'occasione, sull’onda dell’orrore suscitato in tutta Europa dalle atrocità perpetrate dai Lanzichenecchi nell’Urbe, per una nuova calata nella penisola italiana. Prima di attaccare Napoli vollero espugnare la roccaforte di Melfi, ma questa scelta diede il tempo agli Spagnoli di allestire la difesa della città partenopea e di sconfiggere i Francesi.
Durante la tragica strage della popolazione di Melfi nacque la leggenda di Ronca Battista, un boscaiolo di Melfi che durante lo scontro, grazie all'aiuto della sua roncola magica, riuscì ad uccidere trecento assedianti: oggi una delle strade principali del paese porta il suo nome.
All’interno di Melfi troviamo il rione Chiuchiari, originato da parte di immigrati albanesi guidati da Capin Kiukieri - da cui il nome del rione. Nel 1597 gli Albanesi si trasferirono nella vicina Barile e oggi fanno parte delle numerose comunità arbëreshë presenti nel Sud- Italia.
Il termine arbëreshë indica gli Albanesi della diaspora avvenuta con il crollo dell'Impero bizantino: dopo l'invasione turca molti Albanesi fuggirono in Italia dove diedero un impulso demografico straordinario, ripopolando un centinaio di comunità e edificando nuovi insediamenti. In molti casi vissero isolati dalle comunità autoctone mantenendo così i propri costumi fino ad oggi; in particolare la lingua arbëreshë e la pratica della religione cristiana ortodossa. Nel secolo scorso molti studiosi si sono interessati alla lingua arbëreshë e alcuni hanno definito questo mantenimento etnico-identitario un vero e proprio "miracolo sociale": nonostante siano passati quasi cinquecento anni, i discendenti di quella migrazione si sentono, oltre che italiani, albanesi.
La città di Melfi sorge su una collina sopra la Valle dell'Ofanto, al confine con la Puglia.
Negli anni '90 lungo la valle fu realizzato uno stabilimento FIAT, noto anche come SATA, uno dei più grandi della regione, in cui venivano prodotte i modelli Punto e Lancia Y. Questo complesso industriale modificò l'assetto della città facendo sorgere interi nuovi quartieri. Sempre agli inizi degli anni Novanta sorse un altro importante impianto produttivo, quello della Barilla.
Il castello di Melfi è stato edificato alla fine del XI secolo dai Normanni. La sua architettura multistilistica è una perfetta sintesi della storia cittadina: gli Svevi lo edificarono, gli Angioini lo ampliarono con le torri, gli Aragonesi lo modificarono ed infine i Doria trasformarono l'edificio normanno in un palazzo baronale. Il castello presenta dieci torri (sette rettangolari e tre pentagonali) e al suo interno si trova il palazzo baronale. L'unico ingresso al castello oggi agibile è quello che conduce al paese: una volta c’era un ponte levatoio, oggi un ponte di pietra.
Posto a controllo della Valle d'Ofanto, fu un presidio fondamentale per il controllo del Sud-Italia. Nelle sue stanze si svolsero cinque concilii ecumenici e Federico II vi promulgò le Costituzione di Melfi, un insieme di norme e leggi che dovevano regolamentare la vita economica e sociale del Regno delle Due Sicilie. La stesura delle Costituzioni fu affidata a un’assemblea legislativa di cui facevano parte il notaio Pier della Vigna, Michele Scoto, filosofo matematico scozzese, nonché abati e arcivescovi, vale a dire il fior fiore dei giuristi dell’epoca.
Assieme al castello, nelle epoche che si sono susseguite anche le mura che circondano il centro storico, costruite dai Normanni e lunghe 4 km - modificate e restaurate diverse volte.
All'interno del castello risiede il Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino”, che raccoglie i reperti della storia del territorio del Vulture fin dalla preistoria.
Inaugurato nel 1976, al suo interno si possono trovare dalle ceramiche decorate dell'Età del Bronzo fino ai dipinti fiamminghi del Settecento; l'opera più importante è sicuramente il Sarcofago di Melfi.
Sarcofago romano bizantino del II secolo, proveniente dall'attuale Turchia, è stato rinvenuto, in maniera fortuita, a metà dell'Ottocento nel comune di Rapolla. Il monumento funebre, dalla bellissima fattura, è il simbolo della grande influenza che aveva il mondo bizantino in quest'area. Numerosi sono gli studi sull'iconografia: secondo alcuni le colonne che contraddistinguono uno dei lati riproducono in piccolo un heroon, santuario greco dedicato agli eroi. La copertura del sarcofago è impreziosita dalla statua di una giovane donna distesa dormiente sul letto.
Per maggiori info su orari e biglietti, si veda il seguente LINK.
Le chiesa rupestre di Santa Margherita, insieme al palazzo vescovile e alla cattedrale di Santa Maria Assunta, è una dei simboli religiosi più importanti della città.
Interamente scavata nel tufo (come la chiesa di Santa Lucia) è stata realizzata nel XIII secolo; gli interni sono impreziositi da affreschi di pregevole fattura in stile bizantino in cui si racconta il martirio di Santa Margherita. Un altro celebre affresco contenuto al suo interno è quello del Monito dei Morti, rappresentazione medievale in cui tre scheletri avvertono tre cavalieri con la frase "noi eravamo quello che voi siete, voi sarete quello che noi siamo"; alcuni sostengono che ad essere rappresentati in questa celebre scena siano Federico II e la sua famiglia.
Il piatto simbolo di Melfi è la maccuarnar, la maccaronara, un tipo di spaghettone quadrato di farina di semola fatta a mano.
Gli spaghettoni vengono realizzati attraverso un mattarello caratterizzato da alcune scanalature che permettono di realizzare il taglio con una leggera pressione. Solitamente vengono conditi con sugo di maiale o di coniglio.
Ad ottobre, nella piazza del Duomo, si svolge la Sagra della Varola, dedicata alla castagna di Melfi, il marroncino: castagna precoce dal colore marroncino lucido e la polpa croccante, molto ricercato dall'industria dolciaria soprattutto per il famoso Marron Glacé.
Il Monte Vulture è completamente circondato da boschi di castagno; la castagna appartiene alla tradizione gastronomica locale ed è protagonista di un piatto in particolare, le lagane di castagne - tagliatelle all'uovo realizzate con farina di castagne, cotte in una in zuppa con ceci e castagne.
B&B I Gelsomini, a Melfi. Tel. 348 519 7754
B&B Il casale della gioia, a Melfi. Tel. 329 569 9848
A Melfi sono presenti diverse strutture ricettive.
Punto di partenza raggiungibile in macchina.
Punto di partenza raggiungibile in bus, partendo dalla città di Foggia.
Qui il LINK per controllare gli orari.
Punto di partenza NON raggiungibile in treno.
Disponibile in tutte le librerie, il libro propone 25 itinerari dal Sentiero Italia, dalle Valli del Natisone fino alla Barbagia, di varia lunghezza e difficoltà, per chi vuole partire alla scoperta del trekking più lungo del mondo.
Scritto da Yuri e corredato dalle foto di Sara e dalle mappe di Montura, è insieme un racconto e un atlante sparso e ispirazionale delle Terre Alte, tratto dall'esperienza in spedizione: una miscellanea di aneddoti, sapori, incontri e sensazioni... un motivo in più per fare lo zaino!